BLOGTOUR: "LA MASCA" di Laura Rizzoglio
Salve Wolves Readers, oggi siamo qui a partecipare al Blog Tour del romanzo La masca di Laura Rizzoglio edito NPS Edizioni.
L'autrice, in questa tappa, ci spiega cosa si intende per masca e le leggende popolari a esse legate.
Buona Lettura 🐺
La
masca è la strega piemontese, ma è una strega del tutto particolare.
Il termine “masca” compare per la prima volta nell’Editto di Rotari nel 643: “Si quis eam strigam, quod est Masca, clamaverit”, “Se qualcuno la chiamerà strega, è perché è una Masca”.
Alcuni
studiosi pensano provenga dall’antico provenzale mascar, borbottare, nel
senso di borbottare incantesimi, altri invece credono derivi dalla parola araba
masakha, cioè trasformare in animale, proprio per la capacità magica
tipica di questa vecchina di divenire un gatto o una capra, solo per nominarne
alcuni dei suoi prediletti.
La
masca è sempre una donna capricciosa e vendicativa, ma non sempre è malvagia.
Le sue facoltà sono per lo più sovrannaturali, ricevute per eredità dalla
propria madre o da un’altra masca, in prossimità della morte. Non è in realtà
ispirata dal demonio, per questa ragione può presenziare alle liturgie e
toccare l’acqua santa senza risentirne, ma trae i propri poteri da un libro, il
Liber del comand. Tra le sue pagine vi sono riti e pozioni che le
conferiscono poteri soprannaturali: la trasmutazione appunto, la capacità di
scatenare tempeste, di lanciare fatture, ma anche di curare con unguenti
misteriosi e miracolosi. Vive di solito in case isolate e preferisce non essere
disturbata.
Vi sono
diverse leggende di masche realmente esistite, ma la più famosa è quella della
masca Micilina.
La
vita di Micilina è documentata in un manoscritto del XVIII conservato nel
comune di Pocapaglia, un comune del Roero. Nacque a Barolo e andò in sposa a un
contadino burbero e autoritario. Poco dopo le nozze si dovette trasferire in
questo piccolo paese, dove, essendo “la straniera”, venne subito accolta con
diffidenza; a peggiorare la situazione della donna furono alcune dicerie sul
suo conto, che lo stesso marito alimentava quando si ubriacava. Quando l’uomo
un giorno cadde da un albero e morì, Micilina venne additata come una masca e
tutti la scansarono, lasciandola in completa solitudine. Si diceva le bastasse
un tocco o una carezza per lanciare le sue maledizioni. Gli abitanti di
Pocapaglia ne avevano il terrore, sebbene molti in segreto le chiedessero di
guarire malattie che i medici non riuscivano a curare. Nessuno sa cosa spinse
infine il popolo superstizioso ad accusarla di stregoneria di fronte alle autorità:
alcuni dicono che uccise un bambino, altri che fece cadere una valanga sul
paese, altri ancora che fece scoppiare un incendio devastante. Dopo giorni di
torture Micilina confessò le proprie colpe e venne bruciata in un poggio
chiamato oggi Bric dla Masca dove è ancora possibile trovare alcune macchie
scure sul terreno. Ma la sua morte non determinò la fine delle magie e delle
maledizioni e la gente cominciò a vociare che Micilina aveva trasferito i suoi
poteri a una sua adepta. Si dice che le masche a Pocapaglia siano sopravvissute
e che si ritrovino due volte l’anno verso la mezzanotte di un giovedì del mese
di aprile e di novembre proprio dove lei venne bruciata. Per capire se è il
giovedì giusto, basterà osservare le gatte che si aggirano nei dintorni: se i
loro occhi sono luminosi e le loro ombre troppo umane, è meglio fuggire per non
aizzare la loro permalosità.
Non ci sono fonti storiche a supporto dell’esistenza di una certa Lia d’Ampardisòn, la masca di Laura Rizzoglio, ma il suo nome era conosciuto dagli abitanti del borgo di Via San Massimo, tanto che la nonna dell’autrice, Angiolina, ne parlava spesso ai figli e ai nipoti. D’Ampardisòn, infatti, non era un cognome, ma un nomignolo affibiatole dalla popolazione (in piemontese vuole dire: mi sembra di sentire dei suoni). Molti dicevano di averla vista trasformarsi in capra o in gatto, o aggirarsi per le nocciole con una veste bianca e un gomitolo di lana tra le mani. Tutti ne avevano paura, sebbene lei vivesse in un misero capanno, lontano dal centro abitato. Proprio i racconti di Angiolina sono alla base di questo romanzo.
“La masca. La strega. Lo spirito
malvagio che viveva nella casa mezza diroccata, costruita con pietre di fiume
gettate alla rinfusa e tenute insieme da qualche forza misteriosa, un piccolo
punto disperso nel bel mezzo della valle, a pochi chilometri dalla chiesetta
consacrata a San Massimo.
Le leggende popolari, infatti,
asserivano che per le creature come lei non era un problema convivere con la
luce di Dio, nello stesso territorio dove la Trinità irradiava la propria
onnipotenza. Non aveva neanche problemi ad andare alla funzione della domenica
mattina o a immergere le sue ossute dita storte nella fontanella dove l’acqua
santa attendeva ogni cristiano devoto, all’ingresso della piccola sala colma di
panchine laccate a fresco.
La si vedeva sempre seduta in fondo,
nell’angolo destro, con stretto tra le mani un libercolo dalla rilegatura in
pelle nera. La gente vociava che fosse uno dei Libri del Potere, quei testi
zeppi di formule magiche e riti satanici dai quali la sua stirpe estrapolava da
generazioni incredibili doni “soprannaturali”. Se ne stava spesso in silenzio a
fissare un’immagine della Vergine Maria che teneva in braccio il suo bambino,
con lo sguardo beato e rivolto all’infinito, mentre Gesù, sorridente, mostrava
il proprio cuore trafitto dalle spine, come se la megera avesse voluto sfidarla
a chi, tra le due, possedesse la fonte più autorevole per controllare la mente
umana.”