RECENSIONE: "ACQUE OSCURE" di Debora Parisi


L'erede di Chtulhu ha letto per noi il romanzo di Debora Parisi dal titolo Acque Oscure.


Spesso nel fantasy cerchia, ma il dato straordinario, l'originalità a ogni costo, l'ossessione dell'innovazione. E questo ci porta a sperimentare spesso in modo eccessivo creando, non sempre ma capita, trame eccessivamente pompose e manieristiche che esaltano l'irrazionalità a spese della credibilità del testo. 

Non fraintendiamoci. Un fantasy non è e non potrà mai essere davvero credibile. A meno che non siete soggetti psicotici ( in quel caso alzo le mani) folletti, esseri misteriosi o fate o ondine non sono pane quotidiano, non vengono mai davvero avvistati. Fanno parte delle acque profonde del mito e dell'inconscio. 
Quello che accade è di provare a sospendere il proprio scetticismo creando quello che in letteratura si chiama sospensione dell'incredulità. E' questo che richiede un buon libro. E se la trama è eccessivamente contorta o assurde, senza avere una parvenza o una chimera di logicità non accade. Il segreto?

È e resta sempre lo stesso. Scavare nel pozzo della tradizione che appartiene all'inconscio collettivo e creare storie nuove dal sapore antico. Proprio ciò che ha fatto la Parisi. 
Unendo due realtà culturali, Veneto e Scozia ha dimostrato come quello che sentenziava Jung esiste. Ossia esiste un substrato che ci unisce annullando le differenze esistenti da storia e da condizioni ambientali per ricreare in terra idee che appartengono all'Iperuranio. E così che accade. Amore e vendette, bisogno si conoscenza e persino quella necessaria magia a farci comprendere come il mondo sia cosi illogico nonostante quel bisogno che abbiamo di dargli un ordine. A farci persino superare le barriere che necessariamente dividono il sogno dal reale e a avvinghiarci per creare tradizioni nuove. E cosi il folclore scozzese dell’each uisge abbraccia la sua controparte benevola l’anguana.

Scozia e Veneto, parti di una stessa dimensione.
Scozia e Veneto, parte dei sogni sempre diversi, sempre nuovi che solo l'ars letteraria può tessere. E noi di fronte a un arazzo simile non possiamo che dire grazie a lei, Clio, l'eterna musa di un arte che non dovrà mai vedere il tramonto.